Saturday, April 16, 2005

"Il calcio ha fatto centro laddove la politica ha fallito, in squadra regnano tolleranza e rispetto."

Abbas Suan di origini arabe e centrocampista della nazionale israeliana segna il gol del pareggio con l'irlanda che tiene aperta la porta del mondiale

MILANO, 29 marzo 2005 - Un arabo salva Israele. Sabato, a Tel Aviv, Abbas Suan, o Sowan secondo un’altra grafia, 29 anni, centrocampista, ha aggiustato una brutta serata. Si era al primo minuto di recupero della ripresa e l’Irlanda di Damien Duff, pezzo grosso del Chelsea, vinceva per 1-0; Suan, entrato in campo pochi minuti prima, al 29’ del s.t., ha ricevuto palla ai 20 metri e ha fatto gol con un tiro secco. Una rete epocale, perché il pareggio tiene in corsa Israele per l’accesso al Mondiale 2006 e perché Suan osserva le leggi del Corano, non quelle della Torah. Israele, inserito nel gruppo 4 di qualificazione a Germania 2006, è primo con 9 punti, a pari merito con Francia e Irlanda, e domani ospiterà i francesi, che non se la passano bene, reduci come sono dallo sciapo 0-0 contro la Svizzera. Abbas Suan non ci sarà, perché squalificato. Israele vanta un’unica partecipazione al Mondiale, quello di Messico 1970, dove incrociò l’Italia: 0-0 nella prima fase, l’11 giugno di quell’anno, a Toluca. Un’avventura breve, conclusa con una frettolosa eliminazione, il pari contro gli azzurri e due sconfitte, contro Uruguay e Svezia.
Se Israele rimetterà il muso sulla scena della coppa del Mondo, dovrà fare un monumento a Suan Abbas, israeliano di origine araba e perciò considerato cittadino di serie B. Israele conta sei milioni e mezzo di abitanti, più di un milione dei quali sono arabi. Hanno passaporti e carte d’identità normali, ma sono soggetti a qualche limitazione, guardati con un filo di sospetto, e se devono volare all’estero, preferiscono partire dall’aeroporto di Amman, in Giordania, anziché dal Ben Gurion di Tel Aviv, dove chiunque porti cognomi arabi viene rivoltato come una tasca. In febbraio a Gerusalemme, proprio Abbas Suan venne fischiato durante l’amichevole con la Croazia (3-3). Improperi provenienti dal settore degli ultras del Beitar, squadra di Gerusalemme con tifoseria animata da sentimenti estremistici. Abbas si gode la rivincita: «Visto quanto era successo a Gerusalemme, sabato a Tel Aviv mi ha fatto effetto sentire quarantamila persone invocare il mio nome. Dedico il gol a ogni cittadino israeliano. E’ tempo di smetterla, non dobbiamo più distinguere tra ebrei e arabi, siamo un unico popolo». Parole scioccanti, ma condivise. «Abbas lotta per l’uguaglianza», ha titolato il più importante quotidiano del Paese. Suan ha rilanciato: «Penso che persone come me, Walid Badir e Abed Rabah (gli altri due arabi della selezione, ndr) siano il migliore esempio di convivenza fra ebrei e musulmani e costituiscano l’auspicio di un futuro migliore».
Suan gioca nell’Unione dei Figli di Sakhnin, squadra di una cittadina della Galilea, nel Nord d’Israele. Un piccolo centro di poco più di ventimila abitanti, un posto in cui il 94 per cento degli iscritti all’anagrafe è arabo e la disoccupazione è debordante. Fino a pochi anni fa il Sakhnin, club di proprietà comunale e con un presidente titolare di una piccola ditta di costruzioni, giocava nelle serie minori. Poi la crescita, culminata due stagioni nella promozione in prima serie e l’anno scorso il trionfo, la vittoria in coppa d’Israele, l’abbagliante 4-1 rifilato in finale all’Hapoel Haifa e la conseguente attenzione dei media, tra gli altri un lungo servizio di Al Jazeera, la Cnn dei Paesi arabi.Nonostante il quarto d’ora di celebrità, il Sakhnin resta una società povera, senza uno stadio adeguato e con un curioso campo d’allenamento, un terreno di proprietà di un privato cittadino tifoso della squadra e allestito alla meno peggio. Il Sakhnin, però, è uno straordinario laboratorio multietnico, il grosso del gruppo è costituito da giocatori arabi-israeliani, poi ci sono gli ebrei, il brasiliano Gavriel Lima, che è cristiano, il camerunese Ernst Etchi e Komoko Kamara della Guinea Equatoriale, quest’ultimo musulmano. Il calcio ha fatto centro laddove la politica ha fallito, in squadra regnano tolleranza e rispetto. «Il venerdì — raccontano a Sakhnin — Abbas Suan e gli altri giocatori arabi vanno a pregare alla moschea, gli israeliani entrano in sinagoga. Siamo osservanti di religioni diverse, però pensiamo tutti alla stessa cosa, la pace»
gazzetta.it

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